Un gruppo di ricercatori dell’Universita’ di Zhejiang ha scoperto che il
nuovo coronavirus è mutato in almeno 30 diversi ceppi e in Europa si sarebbe diffuso quello più letale. Affermando anche che ci sarebbero decine di ceppi del virus e loro ne hanno scoperti 19 mai stati visti prima.
I ricercatori hanno descritto la loro scoperta in un articolo che è stato pubblicato sulla piattaforma medRxiv.org in attesa di essere sottoposto a peer review, ovvero a revisione da parte di altri scienziati.
Secondo i ricercatori esistono alcuni ceppi più potenti che assomigliavano a quelli diffusi in Europa, mentre i ceppi più deboli erano simili a quelli trovati circolanti all’interno di parti degli Stati Uniti, come lo Stato di Washington.
Inoltre, questi studiosi, affermano che i loro risultati sono i primi a dimostrare che le mutazione potrebbero influenzare la gravità della malattia e il suo andamento.
Questa ricerca deriva dalla scia di altri studi che affermano che gli Stati Uniti sono stati colpiti da due diversi gruppi di coronavirus, con il tipo A che domina la costa occidentale e il tipo B che invece avrebbe una maggiore distribuzione a New York.
E gli esperti specificano che l’epidemia di tipo A si è diffusa negli Stati Uniti dalla Cina, mentre quella di tipo B che ha colpito New York sarebbe arrivata dall’Europa, molto probabilmente.
Gli scienziati sostengono che il SARS-CoV-2, sia continuamente mutato per superare la resistenza del sistema immunitario in diverse popolazioni.
Per arrivare a queste conclusioni gli studiosi hanno analizzato i ceppi virali di 11 pazienti cinesi con coronavirus. Il gruppo di ricerca, coordinato da Li Lanjuan, ha testato l’efficacia del virus su cellule umane in laboratorio.
La carica virale, cioè la quantità di virus, è stata valutata in tutte le cellule dopo una, due, quattro e otto ore, nonché il giorno successivo e 48 ore dopo.
Gli esperti, hanno osservato anche gli effetti citopatici (CPE), vale a dire l’insieme di cambiamenti morfologici che una cellula infetta da virus può assumere, fino a tre giorni dopo l’esperimento.
Hanno scoperto, quindi, che i ceppi più aggressivi hanno creato fino a 270 volte più carica virale del tipo meno potente e hanno prodotto la più alta carica virale che, a sua volta, ha determinato anche una più elevata morte cellulare.
I ricercatori affermano che i risultati da loro ottenuti dimostrano che le mutazioni osservate possono avere un impatto diretto sulla carica virale e sul CPE.
In più, i ricercatori, hanno reso noto che questa scoperta suggerisce che le mutazioni osservate durante lo studio possono avere un impatto significativo sulla patogenicità (la capacità di causare malattie) del SARS-CoV-2.
Inoltre i ricercatori hanno trovato alcune delle mutazioni più mortali nello Zhejiang, dove si trova l’università.
Le stesse mutazioni erano state identificate anche in diversi paesi europei duramente colpiti, come l’Italia e la Spagna, prima di diffondersi a New York.
Mentre, alcune delle mutazioni più lievi sono quelle che caratterizzano i ceppi in gran parte trovati negli Stati Uniti, tra cui lo Stato di Washington, come quello di Wuhan dove ha avuto inizio tutto.
In più, i ricercatori hanno specificato che solo perché alcune mutazioni sono più lievi, non significa che c’è un basso rischio di mortalità.
Degli 11 pazienti che erano stati studiati, dieci avevano chiari collegamenti con Wuhan, la città dove la pandemia è iniziata a dicembre.
Tutti i pazienti sono guariti, otto erano uomini e tre erano donne.
Invece due pazienti nello Zhejiang, uno sui 30 e uno sui 50 anni d’età, si sono ammalati gravemente dopo aver contratto ceppi più deboli.
Nonostante entrambi i pazienti si siano ripresi, per il paziente sui 50 anni d’età è stato necessario il ricovero in terapia intensiva.
I ricercatori affermano che i pazienti con Covid-19 hanno ricevuto lo stesso trattamento in ospedale indifferentemente dal ceppo.
Ma in realtà, loro ritengono che i diversi ceppi potrebbero richiedere diversi sforzi, poiché subiscono una mutazione al mese. Quindi si può concludere dicendo che lo sviluppo di farmaci e vaccini, sebbene urgente, deve tener conto dell’impatto di queste mutazioni che si accumulano.
Giuseppe Novelli spiega che i virus a RNA, come il nuovo coronavirus, mutano e questo fa parte della loro natura. Per cui è importante studiare queste mutazioni, perché ci dovrebbe aiutare a capire se avremo bisogno di molte più armi, cioè di più di un vaccino e di più di un anticorpo monoclonale per combatterle.
Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata di Roma e coordinatore del progetto GEFACOVID, un maxistudio internazionale che ha lo scopo di esaminare in dettaglio tutte le informazioni genetiche relative a SArs-Cov2 al fine di identificare nuovi percorsi diagnostici e nuove terapie.
Novelli afferma anche che il lavoro arrivato dalla Cina è certamente interessante, ben fatto e ben accurato.
Però va ancora confermato e il fatto stesso che sia un articolo in preprinting significa che deve ancora superare le analisi relative ai sistemi di revisione dei paper.
Per cui bisogna essere sempre cauti e che i dati che sono riportati certamente confermano quanto già si sa e cioè che i virus a RNA mutano.
E’ una loro caratteristica e non fanno altro che il loro lavoro che è quello di cambiare replicandosi. E quindi replicandosi si diffondono in forme, tipi e sottotipi diversi.
Secondo Novelli, questo è quello che ci si aspetta da un virus a Rna come questo.
È fondamentale leggere l’RNA, per cercare di capire l’evoluzione e la patogenicità del virus, cioè se questa mutazioni sono più o meno associate a una differente forma di patogenicità.
L’esperto sottolinea anche che tutto ciò non dipende solo dal virus: queste variazioni devono dialogare e interfacciarsi con il genoma dell’ospite.
In tutto il mondo ci sono consorzi, come quello che sta coordinando Novelli, che hanno come scopo quello di comprendere le mutazioni dell’uomo che possono dare una risposta diversa alle mutazioni del virus.
Novelli spiega anche che se cambia la proteina spike, la chiave d’ingresso del virus, cambia anche il recettore dell’uomo. Per cui, nelle varie popolazioni è noto che l’ACE2, che è il recettore di spike, cambia. Diventando così interessante cercare di capire che relazione c’è tra patogeno e ospite.
È fondamentale sapere che l’effetto di un’infezione è sempre un rapporto mutualistico tra patogeno e ospite, tra genoma del patogeno e genoma dell’ospite.
A detta dell’esperto Novelli, si può concludere dicendo che forse non basterà solo un’arma: quindi probabilmente si dovrà pensare a più di un vaccino o a più di un anticorpo monoclonale.
L’obiettivo principale quindi è quello di individuare i punti deboli di questo virus e costruire armi contro le parti del virus che non cambiano o cambiano poco.