Secondo un’ipotesi italiana, l’immunità al Coronavirus, potrebbe non essere protettiva, ma addirittura favorirebbe una re-infezioni con sintomi più gravi.Quindi aver contratto la malattia non basterebbe a proteggere da una nuova infezione.Infatti, secondo l’ipotesi avanzata da una ricerca italiana, pubblicata sulla rivista BMJ Global Health, l’immunità acquisita non solo potrebbe non essere protettiva, ma potrebbe favorire le re-infezioni con sintomi più gravi.
Come nasce l’ipotesi delle re-infezioni. Tutto il mondo studia la durata degli anticorpi anti-Covid ma fino ad ora nessuno ha ancora stabilito se l’infezione da nuovo coronavirus dia o meno immunità permanente, o se ci sia il rischio di ammalarsi di nuovo.Lo studio appena reso noto, tramite la pubblicazione , è il frutto della collaborazione tra colleghi italiani dell’Irccs Burlo Garofalo di Trieste ed ex compagni di corso della London School of Hygiene & Tropical Medicine.Luca Cegolon, medico epidemiologo presso l’Ausl 2 di Marca Trevigiana di Treviso e primo firmatario del lavoro, dice di aver osservato l’andamento della malattia, in special modo l’elevata trasmissibilità è il tasso di casi severi, soprattutto tra gli operatori sanitari anche giovani, sia in Italia che in Cina.Inoltre, osserva Cegolon, i ricercatori hanno effettuato delle riflessioni sul basso rischio di Covid-19 severo fra i bambini con meno di 10 anni, concludendo che i bambini hanno meno anticorpi degli adulti e degli anziani, poiché essendo stati meno esposti ad agenti infettivi nel corso della loro vita, quindi sono più protetti.
I Coronavirus, virus che tornano.Il Sars-Cov2 fa parte della famiglia dei coronavirus umani; ne esistono 7 ceppi diversi, 4 dei quali causano sindromi respiratorie lievi (il comune raffreddore).Spiega ancora Cegolon che, tutti sono in grado di causare re-infezioni, indipendentemente dall’immunità umorale, cioè quella che si ottiene quando ci si ammala sviluppando gli anticorpi.Invece, per i ceppi più pericolosi di coronavirus, come il Mers-CoV ed il Sars-CoV, è stato identificato e riconosciuto un fenomeno immunologico noto come Antibody Dependent Enhancement (Ade), scatenato da re-infezioni.In pratica dice l’epidemiologo che l’immunità acquisita non sembra proteggere dalle re-infezioni da coronavirus, anzi può diventare un boomerang, visto che alleandosi con il virus stesso durante infezioni secondarie per facilitarne l’ingresso nelle cellule bersaglio, sopprimere l’immunità innata e scatenare o amplificare una reazione infiammatoria importante dell’organismo.Per cui, in caso di una seconda ondata, una persona che ha preso il virus a marzo, in autunno potrebbe ammalarsi di nuovo.
Le similitudini con la Dengue.Secondo i ricercatori italiani, nell’organismo di chi si è già ammalato, l’anticorpo preesistente riuscirebbe a sopravvivere ed a creare anche una risposta infiammatoria moltiplicata con una riduzione della risposta innata.Il Sars-CoV-2 presenta un’omologia di sequenza genica fino all’80% con il Sars-Cov e del 50% con il Mers-CoV. Inoltre, il meccanismo dell’Ade, nelle infezioni scatenate da questi due Coronavirus, presenta caratteristiche molto simili al quadro clinico dei casi critici di Covid-19: polmonite interstiziale con Sindrome da distress respiratorio acuto (Ards), linfopenia, aumento dei neutrofili, tempesta di citochine, forte riduzione dell’interferone.Le analogie, continua l’epidemiologo, sono molte, come dimostra la diminuzione dei livelli dell’interferone, utile a difenderci dalle infezioni, e dei linfociti mentre aumentano i fagociti che sono responsabili di un quadro polmonare gravemente compromesso e caratterizzato da una tempesta di citochine.Il meccanismo dell’Ade, è presente anche in infezioni da flavivirus come il West Nile e la Dengue, caratterizzate proprio da un’interferenza dell’azione dell’interferone. Ricorda Cegolon che, proprio per questa analogia, 2-3 mesi fa erano stati fatti arrivare in Italia una cinquantina di medici cubani, esperti di Dengue, infezione virale endemica a Cuba, e di terapia con Interferone.
Gli studi effettuati sugli operatori sanitari.Secondo uno studio cinese, che è stato pubblicato su Nature Medicine, è risultato un rapido calo dei livelli di anticorpi, dopo 2-3 mesi dalla guarigione, nel plasma sia dei pazienti sintomatici sia di quelli che hanno manifestato una sintomatologia lieve o nessuna.Ma le idee non sono ancora del tutto chiare anche perché in questa fase – almeno in Italia – i casi sono molto diminuiti.Siccome al momento non ci sono conferme eclatanti, sia nel nostro paese che in Gran Bretagna, dice ancora Cegolon, si stanno effettuando studi sierologici per verificare se gli anticorpi proteggono dall’infezione o no.Sono soprattutto ricerche che si concentrano sugli operatori sanitari, visto che il virus gira di più negli ospedali; sia perché ci sono malati sia perché sono ambienti chiusi.In più, secondo i ricercatori italiani, il meccanismo dell’Ade nel Covid-19 potrebbe essere scatenato anche da infezioni da parte di altri virus/coronavirus respiratori come il raffreddore o l’influenza.
Valutare l’effetto boomerang degli anticorpi.Particolarmente nel Regno Unito, è in corso lo studio Siren per la valutazione dell’eventuale effetto protettivo anti-Covi19 determinato dagli anticorpi generati da pregresse infezioni da Sars-Cov-2 fra gli operatori socio-sanitari.L’epidemiologo Celogon dice che nonostante lo studio Siren sia nato per verificare l’immunità protettiva conferita dagli anticorpi anti-Covid19 contro una eventuale re-infezione, è utile anche a verificare l’eventuale comparsa della forma critica di Covid-19 negli operatori socio-sanitari ri-esposti a Sars-Cov2 dopo pregressa infezione lieve/asintomatica che ha prodotto una risposta anticorpale.
Nessun vaccino per la famiglia di Coronavirus.Purtroppo, l’ipotesi dello studio italiano, mette in dubbio anche l’efficacia dei vaccini nei quali tutti ripongono grandi speranze.Infatti, per nessuno dei Coronavirus è mai stato possibile produrre e commercializzare un vaccino efficace fino ad oggi, neppure per quelli temibili che, come il Sars-CoV-2, causano sindromi respiratorie acute severe, cioè il Middle-East Respiratory Coronavirus (Merc-CoV) ed il Sars-CoV che causò la famosa epidemia cinese nel 2003, afferma Cegolon.Aggiunge inoltre che il meccanismo che ne ha impedito la produzione fino ad ora non è ancora chiaro; e che sicuramente l’immunità umorale, cioè gli anticorpi prodotti in seguito ad una prima infezione, non sembrano possedere un ruolo protettivo.Ed infatti i coronavirus sono noti per causare re-infezioni, indipendentemente dall’immunità acquisita.
Un’ipotesi preoccupante.
Quella descritta nello studio su BMJ Global Health è solo un’ipotesi e come tale va considerata.Conclude l’epidemiologo che, sicuramente da un certo punto di vista, sia a lui che ai suoi colleghi, non dispiacerebbe essere smentiti, poiché se questa ipotesi fosse confermata, ci sarebbero forti implicazioni non solo per la terapia dei casi critici di Covid-19, ma anche (in negativo) per la produzione di un vaccino efficace contro il Sars-CoV-2.Il prossimo passo, per cercare di capire ancora più a fondo, è quello di condurre uno studio osservazionale sui pazienti che si sono ammalati.Cegolon conferma che la prevenzione è la vera soluzione, in più grazie al caldo-umido la diffusione del virus è rallentata, per cui bisogna approfittarne per potenziare l’immunità innata e attrezzarsi per l’autunno, con interventi farmacologici che possano proteggere le porte d’ingresso del virus come il naso.