cognome del padre
Grazie alla Corte costituzionale, presieduta da Giuliano Amato, dopo decenni di attesa, le donne italiane sono riuscite a conquistare un diritto storico, finora negato dall’articolo 262 del
codice civile, cioè la possibilità di poter dare ai propri figli il proprio nome.
Già il 14 gennaio 2021 la Corte, allora con il presidente Giancarlo Coraggio e con Amato relatore del caso, aveva affrontato questa questione nata da una coppia di Bolzano che voleva
dare al figlio, nato fuori dal matrimonio, il cognome materno poiché essendo in tedesco, era per così dire “più bello” di quello del padre.
Così la Corte ha deciso di sollevare davanti a se stessa, la questione di costituzionalità sulla norma del codice civile, che effettivamente fino a oggi, ha negato la possibilità, per una
donna, di dare al proprio figlio il suo nome.
La Corte, oltre a rendere nota la decisione, spiega anche che d’oggi in poi la regola sarà che:
“il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dagli stessi concordato, eccetto che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due.
Inoltre, in mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico”.
Per tanto sarà da considerare “l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel
matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi”.
In più scrive chiaramente la stessa Corte, che sarà “compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi alla decisione assunta”.
La Corte, per tanto, ha ritenuto “discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre”.
E ha anche precisato che “nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce
elemento fondamentale dell’identità personale”.
Una decisione assunta perché le regole attuali violano gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo.
Quindi viene a cadere l’articolo 262 del codice civile, che da le regole per il cognome da assegnare al figlio nato fuori del matrimonio.
E precisamente dice così:
“Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre”.
Ma adesso tutto questo non è più valido e quindi uomini e donne sono esattamente sullo stesso piano; non ci saranno più le gerarchie obbligatorie che fino ad oggi hanno, secondo
le leggi e i codici, assegnato la primazia al cognome del padre.
In una Corte, che per la prima volta ha avuto una presidente donna e cioè Marta Cartabia , che tra i 15 giudici conta oggi ben quattro donne, che sono Silvana Sciarra, Daria de Pretis,
Emanuela Navarretta (oggi relatrice del caso poiché Amato è divenuto presidente), Maria Rosaria San Giorgio, il “miracolo” della piena parità giuridica uomo-donna è divenuto possibile
partendo proprio dai diritti di un figlio.
È passato più di un anno, visto che la Corte non ha seguito la via di dare un tempo prefissato (12 mesi ) al Parlamento per poter cambiare le regole; come
invece è accaduto per il suicidio assistito, per il carcere per i giornalisti, per l’ergastolo ostativo.
Richieste, che in realtà, sono per lo più cadute nel vuoto, come è successo per il suicidio, per i giornalisti, e adesso succederà anche per l’ergastolo, poiché solo la Camera ha approvato il
nuovo testo e il termine dato dalla Consulta scade il 10 maggio, quindi il Senato non ce la farà a riuscire a convertire la legge e la Corte deciderà per suo conto.
Per il cognome materno, invece, la Corte ha deciso di assumersi la responsabilità di giudicare incostituzionale l’obbligo del solo cognome paterno.
Ha rispettato sia le indicazioni delle Corti europee, come quella di Strasburgo che aveva già contestato all’Italia l’esistenza di quel solo cognome e seguendo seguendo anche la sua storia
su decisioni simili.
Bisogna sapere che nel 2006, per la prima volta, la Consulta scrive che il solo cognome paterno è:
“il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con il valore costituzionale dell’uguaglianza uomo donna” e che quindi
esorto’ già allora il Parlamento a cambiare le regole.
Dopo dieci anni, nel 2016, arriva un’altra sentenza che rappresenta una tappa fondamentale, cioè quella in cui si è stabilito che per un figlio è possibile ottenere il doppio cognome, sia
quello paterno che quello materno.
Però c’è da precisare che due anni prima, il 7 gennaio 2014, la Corte dei diritti umani condannò l’Italia e riconobbe che:
“dare ai figli il cognome della madre è un diritto”, per tanto consigliò all’Italia di “adottare riforme legislative di altra natura” per poter rimediare alla violazione riscontrata; consiglio
che in realtà non fu mai preso in considerazione.
Poi al tribunale di Bolzano nel 2019, con precisione il 13 settembre, i giudici hanno deciso di rivolgersi alla Consulta poiché l’articolo del codice civile sarebbe in contrasto “tanto
con l’articolo 2 della Costituzione, sotto il profilo della tutela dell’identità personale, quanto con l’articolo 3, sotto il profilo del riconoscimento dell’eguaglianza tra donna e uomo”.
Però il tribunale cita la sentenza 286 del 2016 che permette, se i genitori sono d’accordo, di dare al figlio il doppio cognome.
Ecco che poi si pensò perché non dare solo il cognome della madre vista la piena e riconosciuta parità dei diritti tra uomo e donna e così la decisione è stata presa.
Quindi, la Corte costituzionale ha stabilito che, sono da ritenersi illegittime tutte le norme che attribuiscono in modo automatico il cognome del padre ai figli.
In attesa che la sentenza sia depositata, Palazzo della Consulta rende noto che le norme censurate, sono state dichiarate illegittime, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma,
della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Corte Costituzionale, inoltre, ha ritenuto “discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre”, precisando
che “nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento
fondamentale dell’identità personale”.
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